Da: La pittura dell'Ottocento in Sicilia - Flaccovio editore, Palermo, 2005
a cura di Maria Concetta Di Natale

 

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E la poetica verghiana e tra le maggiori ispiratrici della creatività di Antonino Gandolfo. Nipote del pittore neoclassico Giuseppe Gandolfo, sin da giovane fu avviato alla pittura. Perfezionò i suoi studi a Firenze, presso lo studio di Stefano Ussi, che prese a frequentare a partire dal 1860 entrando in contatto con 1'ambiente macchiaiolo. Rientrato a Catania si trovo di fronte “una naturale indecisione tra uno stile di derivazione neoclassica e il nuovo consiglio dei macchiaioli” e questa esitazione fece si che elaborasse uno stile del tutto personale, una espressione figurativa fatta di alti e bassi, dove si alternano prove degne a formulazioni più modeste. "In Gandolfo - dice il Maganuco - niente di tutto ciò; niente preparazione, niente spunti, orientamenti stilistici da svolgere e perfezionare: 1'artista catanese cambia stile - cioè tecnica, cioè mezzo immediato di creazione - senza opere di transizione". Nella sua vasta produzione Antonino Gandolfo affronta principalmente due tematiche: la pittura sociale e la ritrattistica. Soggetti della prima sono la gente di strada, gli ultimi, i vinti ripresi quasi con 1'intento di una trasposizione figurativa dei personaggi protagonisti delle opere verghiane. E questa la sua prima produzione, documentata dai numerosi dipinti in collezione degli eredi, caratterizzata dalla presenza di tristi eroi e da una tragicità di contenuti a cui spesso corrisponde un'angoscia espressiva accentuata dalle ombre livide spesso solcate da guizzi luminosi. Nel raffigurare L'Espulsa e riuscito ad esprimere sul volto della protagonista tutta 1'angoscia di chi sente di aver perso tutto e in Musica forzata la compagnia di derelitti effigiata ha "una dignità, una nobiltà di atteggiamenti, che significano una trasfigurazione fantastica" accentuata dal modo di "aggrupparli e disporli con tanta sapienza di schemi da conferire al gruppo una monumentalità eroica". Nell'ambito della ritrattistica si distinse per “1'acuta resa psicologica”, per il riuscire a penetrare 1'intimo dei protagonisti delle sue tele "fissandone col tocco di luce la massa fisica del volto e 1'attimo psichico intimo, essenziale, eterno". Si ricordano, a tal proposito, le numerose versioni del ritratto della seconda moglie, la Testa di ragazza di profilo di collezione privata agrigentina, Il Ritratto di Monaco, unico datato al 1889, conservato al Museo Civico di Castello Ursino di Catania, e il Ritratto del Medico Tomaselli, opere "apprezzate dal Capuana e dal De Roberto, in quel clima che ormai faceva di Catania il centro del verismo italiano". Tuttavia le caratteristiche formali notate da Maria Accascina non sempre si manifestano nelle sue numerose composizioni, circostanza che non ha agevolato una positiva e concorde valutazione dell'artista da parte della critica. Ciò nonostante, pur nella sua discontinuità, le opere del pittore catanese non dispiacquero ai contemporanei se Federico De Roberto, presentando alcune sue tele esposte alla II Esposizione Agricola Siciliana del 1907, cosi scrisse: "A questa nobile inquietudine, a questa dolorosa vibrazione dinnanzi agli spettacoli della miseria e del dolore, e alla maestria della tecnica per riprodurre la forma umana in ciò che essa ha di più espressivo, nel volto, il Gandolfi aggiunge spesso un'altra qualità tutta sua: uno stile, un magistero, un mistero per virtù dei quali alcuni suoi episodi pittorici di ambigua significazione, suggestivi come musiche, sembrano distaccati da non si sa quali antiche tele di vecchi gloriosi maestri".

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da  La pittura dell'Ottocento nella Sicilia Orientale, pagg 198-199

Maurizio Vitella

 

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