P. Rapisardi-Ferrante

Antonino Gandolfo

su Arte e Storia, luglio 1911, pagg 210-212

 

 

 

Il giorno 21 marzo compiva il primo anniversario della morte del pittore Antonino Gandolfo.

Non mania di critico mi spinge a pigliar la penna, ma solamente ammirazione per l'artista, per il pittore, che aveva nell' occhio tutta la gamma dei colori e nell' anima il senso triste della vita.

Tutti se ne vanno questi grandi che ci hanno dato le gioie più belle, tutti ci lasciano questi eroi che hanno attinto alle vette altissime dell'arte il fremito intenso e l'impeto caldo.

Poveri noi, non ci resta che ripetere, poveri noi!

La cerchia degli artisti coscienziosi e dignitosi s'è assottigliata di molto e sta per sparire per dar posto alla fiumana che vuol salire e vuol travolgere. - Ma lasciamo che ogni tanto qualche voce solitaria ci rammenti che ci fu una volta un tale il quale visse per  l'arte e le fece del bene.

E oggi la mia voce debole vuole appunto dire del Gandolfo. Pittore vero, trovò nell'Ussi a Firenze il maestro che ben comprese la sua natura, e lavorò di gran lena, e studiò a lungo, chiuso nella sua camera, dimenticandosi che  anche l' artista ha bisogno di mettere qualche cosa di sodo nello stomaco, lontano della vita, che gli si svolgeva suadente attorno, piena di amici artisti e dei primi versi del Carducci, che ancor giovane, cantava in brindisi improvvisati e sbrigliati, in cospetto della campagna toscana, tinta di viole e d'oro, la bellezza dell'arte allietata dal vino buono e dalle donne belle.

Il Gandolfo fu pittore forte, soprattutto perché vide il colore: e ciò non è di tutti.

Egli aveva chiara nella mente e nell' occhio l'idea del colore, che trasportava sulla tela con quella grande sicurezza che gli dava la possibilità di fondere meravigliosamente delle tinte difficilissime e di scherzare in quegli ostacoli che la tavolozza restia presenta ad ogni istante al pittore anche esperto. E ciò si può vedere nel quadro bellissimo Il Ritratto della Moglie, dove tutto quel giallo vivo della frangia della poltrona, nelle mani di un altro avrebbe messo nella tela una nota sì stridente da far chiudere gli occhi; ma Egli  invece, imperturbabile, pare che ci scherzi su, e dà al quadro una fusione di tinte e una nota di gaiezza che rallegra l'anima.

Il Gandolfo fu il pittore de' contrasti: osservatelo in ogni tela e troverete la verità di ciò che dico.

Nei ritratti mise il gioco sapiente della luce con l'ombra, come nella Testa di Monaco, che non può essere se non il frutto di un' arte sicura; nei quadri amò trarre l' ispirazione dalla miseria come per esempio in Musica Forzata in cui quella giovane donna cieca, la quale pare che cerchi senza mai stancarsi col capo alto un raggio di luce che le rischiari le tenebre in cui è immersa col violino che per se stesso è lo strumento del dolore, perché, almeno a me, dà subito a primo vederlo l'idea triste del cieco, col violino sotto il braccio, e quel bambino che le è di guida, é l'espressione più angosciosa della lacrima che tremola perennemente sui ciglio dell'umanità.

Egli non ci dà la figura com' è: vuole che essa parli ed abbia nel viso l'anima ed il suo dolore.      

Così nei Miserabili (I Proletari, n.d.r.), quelle donne stese a terra sembra che ci dicano che hanno fame e che la colpa è nostra; così nel suo ultimo quadro (di quelli a sfondo patetico sociale, n.d.r.) Derisione, quella giovane donna la quale ficca avidamente le dita nelle orbite cave e profonde del teschio, per cercare lì dentro la sorgente del pensiero, mentre le rose fioriscono attorno, il tramonto muore nello sfondo e la giovinezza le sfiorisce sul viso, è l'espressione dell'eterna storia dell'umanità , che cerca di sollevarsi ad altezze ad essa inaccessibili e trova la conclusione delle sue aspirazioni in un teschio cavo in cui un giorno sorrise la vita e brillò il pensiero.

E ancora Una Maddalena ai piedi di Cristo, bella di dolore e di amore; Una Cieca  in cui si legge lo spasimo verso la luce , mentre un raggio di sole illumina la faccia, dandole uno strano effetto che ha dell'ardito e dell'originale; Dolore, anni fanciulla che negli occhi ombrati ha l'agonia straziante di un amore perduro.

Il Gandolfo soprattutto eccelse nel ritratto. Si dice però che il ritratto è l'espressione fredda dell'arte, perché non dà agio all'artista di creare. Non è vero: ciò che è il paesaggio per la campagna, il ritratto è per la vita. Bisogna che parli, che il pittore vi trasfonda l'anima commossa.

Dicono alcuni che il bravo ritrattista manchi di fantasia, ma ciò non è sempre vero, perché il Gandolfo fantasia mostrò d'averne e non poca.

E l'arte del Gandolfo, la tecnica specialmente, si trova irrobustita nei ritratti, di cui veramente belli quello del prof. Tomaselli, quello citato della moglie, un Ritratto d'Attrice, bellissimo per  la vivezza e la magia dell' occhio nero e per la molle linea del collo caldo di voluttà :a perfetta somiglianza è unita una tecnica robustezza originalissima.

Ed il Gandolfo amò spesso fermarsi al bozzetto: balenandogli l'idea l'imprimeva sulla tela a tocchi leggieri ma con la pennellata dell'artista così precisa, che l'insieme delle forme e delle cose balzava pronto fuori dal quadro, dando l'illusione che non mancasse nulla, comunicando quel  fremito delizioso che qualche volta non riescono a dare quadri così detti completi perché in essi l'artista spesso, preoccupandosi delle finezze, perde il calore della creazione.

Ben vorrei dire di più perché molte sono le opere che Egli lasciò. A lui che fu artista modesto, perché, non amò grancassa, e dignitoso e forte io m'inchino; a Lui che senti il dolore umano e ne fermò la lacrima sulla tela; io m' inchino; e vorrei che oggi un nembo di fiori ne coprisse la tomba ed un effluvio di primavera ne scuotesse le ossa; cosi Egli potrebbe sentire che chi ama l'artista ha pensato a Lui e ne ha benedetto il nome.

 

P. Rapisardi-Ferrante

Da Arte e storia, 10 luglio 1911, pagg. 210-212