Vita

Nato a Catania il 28 agosto 1792, venne inizialmente avviato dal padre agli studi letterari, poi, a causa dello scarso profitto, il genitore gli aveva fatto apprendere l'arte del cesello. Ma il Gandolfo, che si sentiva nato per la pittura, non trascurava di studiare il disegno, sperando di superare l'ostinatezza del padre che gli negava il consenso di partire per Firenze. E la superò con una trovata pittorica. Ritrasse a memoria il genitore, che tenendo in mano una cambiale firmata da lui, guarda nel mare un veliero su cui è imbarcato il figlio. Il quale così mostrava di impegnarsi per la restituzione del denaro necessario per il suo soggiorno fiorentino.

Grazie forse a questa sua trovata, il Gandolfo a 27 anni poteva lasciare la Sicilia e recarsi nel gennaio del 1819 a Roma. Già egli aveva fatto le prime esperienze nell'arte del cesello, della pittura e persino della scultura. Una prova delle sue qualità di plastico è il busto del poeta Domenico Tempio cui doveva suggerire un grazioso epigramma.

A Roma studiò sotto la guida di Giuseppe Errante, ma vi si fermò appena un anno. A Firenze il nuovo maestro, Pietro Benvenuti, lo esortò non solo a studiare ma a copiare i capolavori di Raffaello, Correggio e Tiziano. Talché le sue doti naturali di felice interprete del vero vennero soverchiate dagli sterili metodi accademici. Sull'arte nostra gravava il dogma formulato dal Winckelmann circa l'imitazione degli antichi, e nella pittura ispirata a quel canone erano considerati maestri insuperabili il Camuccini, l'Appiani e il Benvenuti, le cui tele "fredde, corrette e decenti" - come ebbe a dire lo Sthendal uscendo dallo studio del Camuccini - non potevano insegnare nulla.

La copia del "Leone X" eseguita dal Gandolfo con singolare precisione fu molto lodata dal Benvenuti che ne parlò financo al Granduca. "Ai due 'Leone X'", disse - quello di Firenze e quello di Napoli - "è da aggiungere ora questo del Gandolfo".

Per la sua notorietà, raggiunta in poco tempo, il pittore veniva incaricato dall'ambasciatore inglese presso la Corte fiorentina di eseguire per conto di quel governo le copie di alcuni capolavori della pittura italiana. Ci risulta che tre suoi dipinti furono spediti a Londra. In seguito, poiché al Granduca dispiaceva che egli lavorasse per conto del governo inglese, il Gandolfo si sciolse dall'impegno. Aveva già dipinto alcuni quadri per la pinacoteca che il Cardinale Opizzone, fratello del ministro del Granduca, aveva in Milano, altri per il ministro stesso, ed altri ancora per cospicue famiglie fiorentine, quando la notizia della morte del padre gli fece nascere il desiderio di rivedere la madre e i fratelli. Nel 1821 lasciava Firenze.

Giunse a Catania gravemente ammalato, e forse non sarebbe più ripartito senza le insistenze del ministro Opizzone che lo voleva a Firenze e che nel gennaio del 1822 così gli scriveva: " Mi lusingo che ben ristabilito penserete a riprendere il vostro studio e l'esercizio di un'arte nella quale potete sperare con fondamento di riuscire a vantaggio vostro e a soddisfazione di chi si interessa per voi. Quando voi ritornerete converrà combinare il modo nel quale possiate utilmente recarvi a vedere anche i dipinti di altre scuole. In Lombardia e nello stato già Veneto è indispensabile il recarsi e vi è da imparare molto..."

Ritornato a Firenze, il Gandolfo si ammalò una seconda volta e dai medici di Corte, che lo curarono con affettuosa sollecitudine, gli fu consigliato, per ben ristabilirsi in salute, di ritornare in Sicilia. Lasciata a malincuore Firenze, verso la fine del 1822 tornò a Catania dove morì il 13 settembre 1855.

da Luigi Gandolfo: Cenni sul pittore Giuseppe Gandolfo - "Rivista del Comune di Catania" sett - ott 1931

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