Rivista del comune di Catania – anno III, n. 1 – gennaio – febbraio 1931, pag 1-2

Nel primo centenario della sonnambula

L’idillio

L'argomento fu tratto da un ballo di Aumer, sebbene le letterature classiche e la nostra offrissero modelli insigni di poesia idilliaca come sfogo di anime arcadiche o sognatrici che nella contemplazione della natura avvertivano l'incanto di un'esistenza felice. Si aggiunga l'amore che il romanticismo aveva ridestato, verso un mondo più semplice e schietto. Il soggetto del melodramma belliniano rimaneva dunque nella tradizione. I tempi eran torbidi e corruschi; che importa? Anche Bellini sentì passare nel suo delicatissimo e religioso spirito il fantasma della guerra e della rivoluzione. Ebbe i suoi momenti eroici come li ebbe, per esempio, il Leopardi. Ma ogni grande anima ha qualche cosa da dire al di sopra del tempo in cui vive e così s'eterna.

La vera personalità di Bellini si espresse nel canto dell'amore che è estasi e del dolore che è pianto di svanite illusioni: lì non c'è più il senso, qui non c'è il grido. E' la voce di una anima che sta tra il cielo e la terra, che abbandona anzi la terra e segue le stelle. Nei suoi momenti felici sentite la beatitudine del maggio odoroso, nelle ore di malinconia lo spegnersi lento di un giorno di sole. Pare, a volte, di leggere in quelle lacrime sorrise il presentimento di una morte precoce. Ma chi sentiva nel profondo la tristezza dello scolorarsi delle cose e il venir meno d'ogni amata compagnia, con quale trepida gioia non doveva accogliere la felicità di vivere.

Perchè Bellini insiste tanto presso il Romani per avere un soggetto idilliaco e non un altro ? L'episodio è noto: Donizetti aveva musicato un argomento drammatico come l'Ernani. Pretesto. E' il caso che propizia la nascita del capolavoro. Goethe vede una vecchia stampa e gli balena l'idea del Faust. Ma quel Mondo lo portava dentro di sè. Bellini non vuole più scrivere l'Ernani: teme un confronto con Donizetti? Non è possibile. Un artista vero s'infiamma, trova nella gara uno stimolo. Il vero è questo: Bellini si sentiva investito da una gioia sovrumana, gli urgeva nell'anima il canto che dalla terra s'innalza con ali aperte e candide.

Non è l'ora della tragedia. La sua anima è un mattino di primavera. Sulle rive del lago di Como - placidità di acque, serenità di vita -  accanto alla donna amata, la giovinezza che corre gloriosa ai trent'anni ha limpidissimi occhi. Tutto è lieve, diafano, impalpabile: è il giardino incantato dello spirito che trasumana al culmine della gioia. Si abbraccia il mondo ed anche la natura plaude. Coro delle creature e delle cose. Ogni elemento è concorde. In questo regno dell'amore la gelosia non è che accoramento; il male vi fa la sua apparizione, ma non è bieco, serve anzi a una più grande esplosione di gioia: casto è il rapimento delle due anime. Qui qualsiasi richiamo a poeti georgici non regge.

Anima è figura solitaria di innamorata nella schiera delle donne idilliache. Poi tutta quella luce improvvisamente illanguidisce. Il canto si vela di lagrime. Mai perduta illusione fu pianta con sì soave e sconsolata rassegnazione.

Nel sogno ritorna la felicità passata; nella realtà l'ombra si dirada. Infine squilla l'ebbrezza dell'inno alla vita che trionfa.

 

Con la Sonnambula Bellini dava il suo primo capolavoro e forse l'espressione più compiuta del suo genio.

Cento anni so,n trascorsi da quella data memorabile, e per variar di tempi e di gusti l'animo nostro non muta dinanzi a quest'opera.

Alle generazioni che passano Bellini dona sempre il suo purissimo canto.