Saverio Fiducia

Ritratti di Verga

Rivista del comune di Catania – anno III, n. 5 – settembre-ottobre 1931, pag. 5-6

 

 

[…] Verga non aveva mai posato per ritratti, salvo che davanti all'obiettivo fotografico e quando si pensi che qui nella sua città c'era Antonino Gandolfo, il quale era a lui legato da antica amicizia e non aveva ottenuto che qualche quarto d'ora per uno schizzo, di cui dirò fra poco; quando si pensi altresì che il romanziere, a Firenze, a Milano, a Roma era stato, cotidianamente a contatto del Corcos, del Carcano, del Fattori e di tanti altri, la cosa pare straordinaria. E' tale parve anche al Bianchi, talchè quando meravigliato il pittore gliene chiese la ragione, Verga rispose: « Già... ma non lo so neppur io ».

Probabilmente quel signore dalle maniere aristocratiche e dalle parole contate, così indolente da sembrare accidioso, riconosceva in sè stesso quella tal quale insofferenza a star fermo in una posa di finto riposo, forse per ore, che a molti appare ostacolo insormontabile; o pure la sua signorilità, ch'era innata, gli vietava di accettare un dono ch'egli non avrebbe potuto ricambiare che con un libro; quando invece, per molti dei suoi amici pittori e scultori, a parte che per essi dipingere o modellare era una gioja, una gioja sarebbe anche stata il fermarne sulla tela o nel marmo, le fini sembianze. Sta di fatto che il ritratto del Gandolfo, a cui accenno più sopra, l'attuale possessore l'ebbe dallo stesso pittore, e non può dirsi che al Verga non debba essere piaciuto.

Antonino Gandolfo schizzò, credo, questo piccolo ritratto, da noi riprodotto sulla copertina, verso il 1888, l' anno di «Mastro don Gesualdo», E' a penna, leggermenie acquerellato e se non può gareggiare nelle finalità e nel risultati con un olio, esso è pur sempre opera notevole, di fine indagine psicologica.

Bastarono pochi tratti al pensoso pittore della « Cieca » per fissare sul primo pezzetto di carta capitatogli sotto mano, il più somigliante ritratto di Giovanni Verga. I lineamenti spirituali dello scrittore, al quali un nervoso ma sicuro virgolato dà, ora un risalto scultoreo ora una vellutata delicatezza di mezze tinte, sono fermati con l'anima amorosa del poeta che penetra nell'anima di un altro poeta. Ci vorrebbe una lente d'ingrandimento per comprendere appieno tutto l'inarrivabile magistero con cui sono ottenute nell'originale l' umida trasparenza delle iridi, la profondità delle pupille, la molle linea della bocca ombreggiata dai folti baffi spioventi. Una leggera acquatinta, ultima risorsa del maestro, distesa sul disegno stabilisce i toni e dà a questo schizzo il colore. E' firmato ed appartiene a F. P. Frontini. Rimpiangiamo, nondimeno, che il più artista dei pittori dell'ottocento catanese non abbia fermato l'effige del poeta di Bianca Trao e di Mena Malavoglia, in una delle sue teste portentose, tutte ombre impenetrabili e guizzi luminosi.[…]