Poliorama pittoresco. dipinti e disegni dell'ottocento siciliano
a cura di Gioacchino Barbera, SilvanaEditoriale, Cinisello Balsamo (MI), 2007

Giuseppe Gandolfo
Catania 1792-1855

 12. Ritratto di Salvatore Bellia 1840
 olio su tela, 71 x 55 cm

firmato e datato in alto a destra:"D. Salvatore Bellia / di anni 44 / G. Gandolfo f. 1840" collezione privata

 Acquistato recentemente sul mercato antiquario catanese, il ritratto di Salvatore Bellia contribuisce ad arricchire il catalogo della produzione di Giuseppe Gandolfo. Nonostante egli si dedicasse anche ai soggetti sacri e al paesaggio, nella ritrattistica raggiunse i risultati più alti, ottenendo nel territorio etneo quel consenso di pubblico che inquegli anni, in Sicilia, era prevalentemente appannaggio di Giuseppe Patania.

La finitezza del disegno unita a un uso sapiente del colore fecero di Gandolfo un ritrattista molto apprezzato dall'aristocrazia catanese e da numerosi esponenti delle scienze e della cultura locali. Tra il quarto e il sesto decennio dell'Ottocento, anni di piena maturità artistica, raggiunse un compiuto equilibrio tra la levigata maniera neoclassica e l'attenzione concreta ai caratteri fisionomici del soggetto. Ne e evidente attestazione questo dipinto, che raffigura un esponente di spicco della famiglia Bellia, una delle più insigni tra quelle iscritte alla Mastra Nobile di Paterno. Fratello di Emanuele, noto avvocato e giurista, Salvatore Bellia si distinse per le sue opere benefiche e, in particolare, per aver fondato l'Albergo dei Poveri di Paterno (cfr. Ciccia 2004, p. 59), istituzione ancora oggi esistente come Casa di ospitalità e di cura per anziani. La figura a mezzobusto, in posa rigida, e lo sfondo uniforme rientrano pienamente nel clima neoclassico. Ciò che denota una ricerca nuova e più attenta alla resa della personalità dell'effigiato e lo sguardo penetrante ma pacato, diretto decisamente verso lo spettatore nonostante il busto sia ruotato leggermente verso destra. Seguendo fedelmente i dettami neoclassici che, assimilati durante la propria formazione a Firenze alla scuola di Pietro Benvenuti, non tradirà mai, Gandolfo imposta la figura su uno sfondo insolitamente vivace, di intenso colore verde, che gli consente di far risaltare maggiormente il volto del Bellia, del quale si sforza di rendere l'elevata statura morale e la rigorosa coscienza civile. La netta delimitazione dei contorni e l'estrema rifinitura dei particolari dell'abbigliamento, come la cravatta di seta azzurra o la spilla in oro e perle appuntata sulla camicia, denotano la cura attenta di ogni dettaglio che fu propria della produzione pittorica di Gandolfo, che «più volte fu veduto rifare la cosa fatta, e non cessava di toccarla se non se giudicandola finita in tutte le parti, che l'arte domandava» (Brancaleone 1856, p. 32). Per la perizia tecnica e per l'incisiva espressività conferita al personaggio, la raffigurazione di Salvatore Bellia si inserisce tra le prove migliori dell'attività del pittore catanese, come l'effigie di Carmelo Mirone, del 1839, pervasa da una vaga aura preromantica, il vigoroso ritratto di Giacomo Di Bartolo (gia Catania, Municipio, distrutto nel 1943; cfr. L. Gandolfo 1931, p. 23) o quello intenso ed eloquente di Emanuele Rossi (Acireale, Pinacoteca Zelantea). I dipinti citati si discostano dal ritratto di Bellia per lo sfondo convenzionalmente giocato su toni scuri, ma ne condividono la raffigurazione del personaggio in abiti contemporanei. Quest'ultima, tuttavia, non si rivela una scelta costante nella produzione di Gandolfo; negli stessi anni, infatti, "valendosi del volto solo delle persone, pinse gran copia di chiari personaggi, con vestito alla greca, alla romana, alla pastorale" (Brancaleone 1856, p. 25). Ne sono esempi degni di nota il ritratto di Francesca Mirone, del 1839, o quello di Raffaele Zappala Finocchiaro, eseguito nel 1844, entrambi nel Museo Civico di Castello Ursino.

                                  Virginia Burla