LA SICILIA, Sabato, 3 aprile 1976, pag 3

Trigesimo della morte di Antonino Gandolfo

Un sacerdote della poesia

 

Se si dovesse fare una storia della cultura o dell'intellighenzia catanese, nel periodo fra le due guerre (il periodo dei Prestinenza, Brancati, Profeta, Etna, Vito Mar Nicolosi, Patanè) Antonino Gandolfo occuperebbe un posto preminente, forse il primo per preparazione filologica, sensibilità, delicatezza di sentimenti e squisitezza di rapporti umani. Egli impersonò più che ogni altro quel tipo di uomo di cultura formatosi alla scuola dei Croce, Momigliano, Russo, Pancrazi e che oggi, a distanza di ormai cinquant'anni e dopo una così terribile guerra e sì ancora più terribili e sconvolgenti avvenimenti storici politici e sociali, sono già stati collocati in un alone di grande tensione morale e civile.

Già a guardare i soli titoli di alcuni dei libri di Gandolfo - «Errore estetico ed errore morale», «La sublimazione musicale della poesia», «Benedetto Croce critico dei contemporanei» si avverte l'assoluta purezza della sua concezione dei suoi interessi, il suo ripudio di ogni retorica tradizionale e moderna, fra le quali egli includeva, per eccessivo scrupolo e cautela estetici, forme oggi costituenti il patrimonio culturale nazionale e internazionale.

C'era in Gandolfo una grande venerazione per alcuni immutabili principi che l'uomo doveva applicare in tutti i commenti della sua vita di lettore e studioso, di accostamento all'opera d'arte come il momento più alto, più vero dell'uomo, quello in cui il contingente si sublima in permanente, il volgare in nobile, il confuso in semplice, il rumoroso in silenzioso: principi che erano saldamente impersonati da un limbo di eroi intoccabili e quasi divini.

Nella sua grande semplicità e umiltà, col suo grande cuore e la sua grande intelligenza Gandolfo s'inserì perfettamente in questo ciclo in questa atmosfera e scrisse delle pagine - molte delle quali pubblicate su questo giornale - indimenticabili per acutezza d'osservazione, limpidezza di stile, chiarezza di concetti e soprattutto per quell'armonia che in lui era come un chiodo fisso che scaturisce spontaneo e invadente da ogni vera opera d'arte la quale essenzialmente dev'essere morale, edificante e che traspariva appunto da tutti i suoi scritti.

C'era, nella sua prosa, una ricca e varia esperienza di vita che egli aveva accumulato dal contatto cordiale ma sempre vivo e curioso con i suoi discepoli del magistrale e poi dell'università, con i suoi colleghi e amici docenti, scrittori e giornalisti, una congeniale tendenza alla rèverie che gli faceva odiare tutte quelle diavolerie del mondo moderno, ivi comprese le famose bottiglie di Morandi o le deformazioni dei surrealisti che oggi, com'è noto, hanno sul mercato prezzi favolosi, tutti quei fanatismi per i poeti stranieri, quei rumori della civiltà di massa ben lontani dal silenzio momiglianesco, rumori che egli acutamente fa derivare dalla mancanza di libertà dell'individuo di oggi assediato dalla presenza ossessiva, anche nelle più intime pareti domestiche, di strumenti massificanti.

Ma, anche se partecipe e protagonista di quel mondo di valori ormai tramontati, anche se ormai lontano da una civiltà che si era costruita sulle macerie - o appunto « dissacrazione » di tanti di quei valori - la crisi del sentimento, la crisi del personaggio non visto più nella sua essenzialità incisiva come ce l'hanno tramandato i nostri grandi della letteratura, ma frantumato ed esaminato cinicamente in sciocche e banali azioni - tuttavia intuì la totale evoluzione dei tempi e in non poche occasioni lamentò l'incomprensione di alcuni laudatores temporis acti e colse le contraddizioni e il travaglio che ora scoppiano con drammatica violenza.

Su una cosa comunque noli transigeva: sulla funzione superiore, catartica, sublimatrice, morale nel senso più completo della poesia e sulla assoluta fiducia che gli uomini devono porre in essa per risolvere i loro problemi di vita, problemi di conoscenza, di estetica, di comportamento, di civiltà in una parola. Se non ci fosse la poesia, egli scrisse, sentiremmo la vita nella sua tragica fuga e l'umanità morirebbe ogni giorno a se stessa.

E questo è il più alto insegnamento che ci ha lasciato, in tempi così duri, Antonino Gandolfo.

 NINO NICOLOSI