musicista

Gandolfo Antonino

 

Gandolfo fa parte di quei musicisti cosiddetti minori che fiorirono nell’Ottocento. In quel periodo a Catania c’erano ottantadue  teatri di cui undici ospitavano opere liriche e sinfoniche , operette e balli. A questi si aggiunge nel 1890 il Teatro Massimo Bellini.

In questo contesto vivace e stimolante nacque il nostro nel 1820, figlio di Salvatore e di Anna Brancaleone e nipote di  quel Giuseppe Gandolfo, insigne pittore catanese .

Lo zio Giuseppe lo iniziò da subito ai segreti della  sua stessa arte, tuttavia, egli, sentendosi più portato verso la musica, convinse lo zio a fargli intraprendere gli studi musicali sotto la guida di Salvatore Pappalardo.

Proseguì gli studi a  Palermo, dove fu discepolo del sommo Pietro Raimondi e, in seguito ,assieme a Pietro Platania, di Vincenzo Abatelli , che era stato allievo dello stesso Raimondi.

Frattanto,  lo zio Giuseppe inoltrò una petizione al Municipio di Catania perché assegnasse un sussidio al giovane musicista, per proseguire gli studi a Napoli. Qui si iscrisse al conservatorio di San Pietro a Majella, dove ebbe per maestri Saverio Mercadante e Giacomo Cordella.

A 18 anni, a Napoli compose  una “Sinfonia in re maggiore” ,stampata nel 1841 e dedicata al Cavaliere Giuseppe Zappalà Finocchiaro.  Eseguita la prima volta al Teatro Comunale di Catania ebbe uno strepitoso successo di pubblico, tanto che venne replicata per altre cinque sere. In un articolo di Santo Privitera (1994)[1] si legge che, non essendo presente il compositore, in sua vece fu chiamato sul palcoscenico il padre.

All’età di 27 anni Gandolfo compose il suo primo melodramma intitolato Maometto II  in 3 atti, su libretto di Enrico Cordaro, morto giovanissimo

Ritornato a Catania nel 1850, gli venne commissionata  dal Comune di questa città un oratorio sacro da eseguire in occasione dei festeggiamenti del 17 agosto in onore di S. Agata.  “La Disfatta degli Assiri” e “Licenza 11” dedicata alla Santa  furono  eseguiti, in piazza dell’Università (l’allora Piano degli Studi).

Il 2 gennaio dell’anno successivo, sposò la 34-enne Teresa Leonardi,  vicina di casa della famiglia Gandolfo, con la quale, già da tempo si era legato da un’affettuosa amicizia epistolare.[2] Dall’unione felice e duratura non nacquero figli. Dobbiamo alla cura della moglie e di una sua nipote l’ottimo stato di conservazione delle sue opere maggiori.

Proprio in quest’anno,  compose l’ ”Inno ad Alfonso il Magnanimo”, dedicandolo a Ferdinando II di Borbone, che compiva 41 anni e, il 12 marzo, mise in scena per la prima volta il  “Maometto II” al Teatro Comunale di Catania.

Rappresentata, come ci informa il libretto dell’opera,  per quinta opera della stagione 1850-51 e diretta dall’autore.

Perché potesse rappresentarsi un’opera anche se lirica, bisognava  a quel tempo avere il nullaosta della censura. A tal fine il Gandolfo si rivolse al Generale in capo luogotenente di Palermo. La risposta ci porta in pieno clima del governo borbonico di quegli anni. Il visto fu concesso infatti perché nel melodramma in causa non si ravvisano “…pensieri contrari alla religione, alla morale e alla sana politica”.

Nel 1852, ottenuta una sovvenzione dal Comune di Catania di 216 ducati annui, ritornò a stabilirsi a Napoli, dove, il 27 agosto 1854, dopo aver ampiamente modificato il Maometto II, lo fece rappresentare al S. Carlo col titolo “Il Sultano”. . Per l’occasione, era stata organizzata da Enrico Petrella una claque contraria, allo scopo di impedirne l’esecuzione, ma, ad un certo punto, rapito dalla bellezza dell’opera esclamo: «Amici, ‘na putimmo fischià, è troppo bella!!!»[3]. Fu lo stesso Mercadante che, commosso, diede la notizia del trionfo a Gandolfo, che non aveva potuto assistere alla rappresentazione, essendo rimasto a letto per un attacco di artrite.

Fece ritorno a Catania nel 1855, , in occasione della morte dello zio Giuseppe, che gli lasciò una cospicua eredità. Proprio per questa eredità entrò in lite con il padre, ma, non volendo adire a  vie legali nei confronti del congiunto, preferì rinunciare, rimanendo, tuttavia,  in gravi ristrettezze economiche. La sua attività di musicista è da questo momento  strettamente intrecciata all’attività politica e alle dolorose vicende  familiari.

il 10 aprile 1859, fu rappresentata  “Caterina di Guisa”, su libretto di Felice Romani, che fu accolta dal pubblico e dalla critica entusiasticamente. Gli amici lo vollero festeggiare presentandogli una corona d’alloro in argento.

Nominato direttore del Teatro Comunale in quello stesso anno, intensificò la sua azione antiborbonica, componendo una serie di inni per esaltare i moti rivoluzionari. Per questo motivo dovette interrompere il rapporto di lavoro col teatro e trasferirsi a Malta, da dove tornò a Catania, dopo la  cacciata dei Borboni, dedicandosi alla composizione e all’insegnamento.

Nel 1876, partecipò ai grandiosi festeggiamenti organizzati dal Comune per la traslazione delle ceneri di Vincenzo Bellini da Parigi a Catania, facendo eseguire una “Marcia funebre” scritta per l’occasione e una Sinfonia per lo scoprimento del monumento allo scienziato patriota  Vincenzo Tedeschi.

In questi anni il comune gli commissiona  un gruppo di Inni per gli Asili Infantili.

Ormai isolatosi per la gelosia e l’invidia di molti, continuò a lavorare, componendo e  insegnando per potersi mantenere, ma compromettendo il rapporto con l’ambiente artistico e musicale della città

Nel 1880 circa, rielaborò ancora una volta il Maometto II per renderlo più idoneo alla sensibilità musicale dei  tempi e, qualche anno dopo, su libretto di Pietro Mobilia, compose Angelo Malipiero, la sua ultima opera, che avrebbe dovuta essere messa in scena in occasione dell’apertura del Teatro Massimo Bellini, ma il Municipio non mantenne gli accordi e quest’opera rimase ineseguita e inedita.

Nonostante il favore con cui  tutte le sue opere furono accolte, il Maestro non riuscì mai a sostentarsi con la sola attività di compositore e fu costretto fino a tarda età a dare lezioni di musica.

Ormai vecchio e dimenticato dalla sua città Natale, Gandolfo morì povero, il 6 giugno 1888. Inascoltata fu la sua richiesta al Comune per un sussidio che lo aiutasse nel sostentamento negli ultimi anni della sua vita.


[1] Privitera S., Musicisti catanesi cosiddetti minori, in “Incontri”, Catania, 21 aprile1994.

[2] Da questa unione, per quanto felice e duratura, non nacquero figli.

[3] Privitera S. op.cit.

 

 

VITA SPARTITI